La storia di Susy

Febbraio 16, 2018

“Puoi scegliere due strade”, pare abbia detto la dea bendata ad Achille. “Una lunga, fatta di impegno, tenacia e passione.Difficile, bada bene, molto difficile.Avrai dei momenti di sconforto e penserai di non farcela.Una breve, senza respiro e senza fiato. Veloce, come l’acqua che scorre nel fiume. Una vita senza respiro.”Il mito racconta che Achille non […]

“Puoi scegliere due strade”, pare abbia detto la dea bendata ad Achille.

“Una lunga, fatta di impegno, tenacia e passione.
Difficile, bada bene, molto difficile.
Avrai dei momenti di sconforto e penserai di non farcela.
Una breve, senza respiro e senza fiato. Veloce, come l’acqua che scorre nel fiume. Una vita senza respiro.”
Il mito racconta che Achille non abbia esitato neanche un attimo.
Si dice abbia guardato la dea bendata e senza esitare abbia detto” La seconda. Scelgo la seconda”.

La strada dove sono nata taglia a metà un percorso ed è un ponte tra una parte della città che soffre e una parte che luccica, tra chi barcolla e chi corre.
Sono nata dalla parte giusta, mi hanno detto.
Il quartiere sanità è tanto vicino da poterlo osservare ma abbastanza lontano da non averne paura.
C’è una linea, tra me e voi, sono al sicuro.

Come si è forti a 13, anni che puoi stringere il mondo in una mano e non ne hai mai abbastanza.
Come si è fragili, a 13 anni, che il mondo stringe te e non te ne accorgi.
Ed era sempre una strada veloce, senza fiato, a capofitto.
A seguire un cuore che non sapeva distinguere una mano che accarezza da una che stringe e il confine a quell’età sembra cosa da poco.
Non ti accorgi come, non capisci perché.

Cresci, ad immagine e somiglianza.
Non ti ricordi com’eri, prima di essere come voleva lui.
Ho osservato una ragazza ieri, aveva 14 anni.
Una bambina, ai miei occhi.
Ero così? Possibile?
Non mi riconosco.
La pelle, anche quella, forse non era la mia.

Mi parlano di un parroco al Rione Sanità, organizza una serie di attività con i ragazzi, vieni, mi dice un amico.
Vieni, magari ti distrai.
Faccio pochi passi, lontano da casa mia, in questa terra che non conosco e non mi appartiene.

Si prendono cura di me, come di un uccellino senza un nido.
Stai con noi, ci pensiamo noi.
Che buffo, mi dico, questa non è casa mia.
Perché loro, perché io?
E piano piano imparo quello che credevo di avere dimenticato.
Imparo a conoscermi.
L’amore non assomiglia più ad un’ossessione, l’amore mi appare leggero e semplice.
Stanco.

Passano i giorni e il nuovo nido, a pochi passi da casa mia, in una terra che mi appariva ostile e pericolosa, mi accoglie e mi cura.
Rinasco, e finalmente assomiglio a me.

In questo nido mi guardo intorno e scorgo un paio di occhi che non riesco a dimenticare.
Quando il cuore fa capolino nella gabbia toracica, dopo tanto tempo, non te ne accorgi subito.
Confondo i sintomi, falsifichi la diagnosi.
Non sarà niente, mi dico, mi sto sbagliando.
Scelgo i vestiti di un tempo e trucco le labbra e gli occhi.
Forse mi sbaglio.
Salvatore mi guarda, mi dice: “Non ti riconosco, sei più bella quando sei realmente tu”.
Me, preferisce me.
Non mi sbagliavo, erano gli occhi giusti.
Sono a casa, finalmente.

Il nido mi cura il cuore, mi insegna i respiri.
Salvatore mi insegna l’amore.
Non vado via, da questa terra stanca ma mai sconfitta, che mi ha accolto come fossi figlia sua.
In questa terra ho messo al mondo due bambine e da qualche mese ho scoperto che presto le mie creature saranno tre.
Sono il frutto del mio amore e della mia rinascita e sul loro viso ho suggellato il mio patto d’amore con l’uomo che mi illumina la vita.
A questa terra dedico il mio tempo e il mio impegno.

Scelgo una strada lunga, che cammina lenta e non lascia solo chi arranca, chi ha paura.
Passano gli anni, aumentano i mattoni. Tra i tanti ve ne è uno che mai scorderò.
È febbraio 2015, fa freddo.
Eravamo a cena, una delle tante.
Antonio ci guarda, in quel modo provocatorio che ha, come volesse dirci ” Ecco qui, un’altra sfida, un’altra battaglia. Chi è con me?”
-Papa Francesco, ci dice, fra qualche giorno incontrerà i rappresentanti delle cooperative che operano sul territorio italiano. Vogliono dei rappresentanti per ogni gruppo. Ci saranno circa 7000 persone-
Rispondiamo felici, lo prendiamo in giro.
Sei abituato a parlare davanti alla gente, gli diciamo, sarai bravissimo.
Ci guarda, sorride.
“Oh no, non mi sono spiegato. Io non parlo. Ci andate voi, Susy ed Enzo. Ci rappresentate voi .”
Eccola, la nuova sfida.

Prepariamo un discorso, cerchiamo di mettere nelle righe che ci è permesso di leggere, tutta la passione e l’impegno.
Vogliamo spiegare le lacrime ma anche la gioia.
Vogliamo parlare della nostra terra, della nostra gente, del nostro amore.
Vogliamo spiegare ad un uomo, guardandolo negli occhi, che abbiamo scelto la condivisione come via e unica strada.
Che siamo stati scelti e che tutt’ora ci scegliamo.
Mi trema la voce, mi tocco i capelli.
Capirà, mi dico.
Capiranno tutti.

La sera prima di partire mia madre mi guarda e mi dice ” e Chiara, non la porti Chiara?”
Chiara è mia figlia, ha 2 anni.
Scoppio a ridere.
“È un’udienza con 7000 persone, parlo accanto al Papa. Non posso tenere Chiara in braccio!”
Vado a dormire, mi giro e mi rigiro.
La mattina mi sveglio, dobbiamo essere sul pullman in mezz’ora.
Afferro Chiara al volo, lei viene con me, mi dico.
La piccola piange, dove si va, non capisce.
Andiamo a raccontare la tua storia, amore mio.
La tua e la nostra.

Lungo la strada ci fermiamo per una sosta e Enzo le compra una bambola.
Cosi sta tranquilla, mi dice.
Arriviamo, la folla è oceanica.
Chi deve intervenire sul palco da una parte, tutti gli altri dall’altra.
Saluto la mia piccola e la lascio Salvatore, ci guarderanno da lontano.
Mi incammino, ripeto il discorso tra i denti.
Sto per salire.
Mi volto di scatto.
“Chiara sale con me!” Mi dico.
Torno indietro, guardo un uomo della security fisso negli occhi e gli dico ” ecco, vede, so che sembra strano, io fra poco devo parlare su quel palco. Vorrei mia figlia, è tra il pubblico con il papà, può venire con me?”
Mi guarda. Crede io stia scherzando.
Mi fissa.
Lo fisso.
Comincio a raccontare, gli spiego perché, gli spiego come, gli spiego per chi.
Esiste sempre un per chi, in tutte le storie d’amore.
Raramente esiste un perché.
Sorride, non si può fare mi dice, dunque corra, vada a prenderla in fretta, prima che io cambi idea.
Prendo Chiara, tienimi la mano e fai la brava.
Stringe la bambola in una mano e nell’altra la mia.
Tocca a noi.
Sono accanto ad Enzo, compagno di avventura.
Accanto alla mia bimba e accanto al Papa.
Un bel respiro.
E comincio a raccontare.

Lavoro, dal 2008, con la cooperativa la paranza di cui sono un socio fondatore.
Mi occupo delle risorse umane, accolgo come un tempo sono stata accolta.
Insegno agli altri ad amare come ho imparato, a crescere condividendo e dividendo.
Il mio lavoro è creare un nido che permetta a tutti di prendere il volo.

Mi chiamo Susi, ho 31 anni e questa è la mia storia.
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Testo di Chiara Nocchetti