“Napoli vive un’esperienza eccezionale in questi mesi con l’autonomia dei musei, e i risultati si vedono”. Jack Lang, il ministro della Cultura francese che in dieci anni nell’era Mitterrand cambiò le politiche culturali in Francia e in Europa, introducendo iniziative come le “Giornate nazionali del patrimonio”, la Festa della Musica e la “Notte bianca nei musei”, è al cimitero della Fontanelle. Un tour privato, accompagnato dall’amico Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte. Una visita al rione Sanità che lo ha portato anche alle Catacombe di San Gennaro e a quelle di San Gaudioso, dove ha incontrato il sindaco Luigi de Magistris e don Antonio Loffredo. Lang è con la moglie Monique e ascolta a tratti incredulo la storia della devozione popolare a metà strada tra pietà cristiana e superstizione. La giovane guida della cooperativa La Paranza mostra il teschio del Capitano e quello di Donna Concetta. Lang chiede, commenta, parla con Bellenger che gli racconta del rapporto tra i napoletani, i defunti e San Gennaro.
Jack Lang, lei è stato ministro della Cultura in Francia dal 1981 al 1993. Che può fare la cultura per migliorare la vita dei cittadini italiani ed europei?
“Tanto. Napoli può essere un esempio in questo senso. Nel 1982 venni a Villa Rosebery per un summit dei ministri della cultura europei e incontrai Mirella Barracco alla quale raccontai della nostra iniziativa del Maggio dei monumenti. Quella manifestazione poi si fece a Napoli, un’esperienza importante perché la coscienza e l’orgoglio del patrimonio ci danno anche la volontà di curarlo. Poi c’è stata la “Scuola adotta un monumento”, un discorso educativo fenomenale”.
La cultura come via per lo sviluppo?
“È chiarissimo che fare la scelta della cultura è fare la scelta di un’economia nuova. Quando un museo si trasforma, migliora, cambia in meglio, tutta l’economia attorno cresce e migliora. Questo non vale solo per i musei, ma per tutte le attività culturali. Non c’è solo una ricaduta economica, ma anche una ricaduta sulla creatività e sull’energia mentale di una comunità. Investire in cultura, investire in educazione, investire in formazione è l’unica via che esiste”.
Dal 2013 lei dirige l’Istituto del mondo arabo a Parigi. La cultura serve anche contro il terrorismo?
“Contro la violenza, il fanatismo, il terrorismo l’unica strada possibile è la cultura, che porta all’integrazione. Non è una professione di fede, ma una certezza: non c’è nessun dubbio, la cultura è l’unica strada”.
Il primo agosto del 2015 Dario Franceschini presentava a Roma i nuovi 20 direttori dei musei italiani. Che giudizio dà?
“L’autonomia d’azione libera i musei da tutta la burocrazia che non consente di andare avanti. Con la riforma Franceschini si possono fare tante iniziative. È stata un’innovazione molto importante, c’è ora maggiore capacità di iniziativa. E poi un concorso internazionale è molto positivo: non si era mai visto prima, aperto a tutti. Questo ha consentito di avere le persone migliori e più qualificate”.
Un esempio che potrebbe valere anche in altri Paesi?
“C’era una tradizione italiana per cui era impossibile per un non italiano arrivare ai vertici di una qualsiasi istituzione culturale, non solo musei. Si tratta quindi di una vera e propria rivoluzione: il nuovo governo prova a cambiare le cose, e a cambiare davvero. È molto coraggioso, e molto intelligente. In Francia c’è da più tempo la tradizione di chiedere a tanti stranieri di aiutarci a guidare le istituzioni culturali, anche molti italiani lo hanno già fatto. Quando ero ministro chiesi a tanti italiani di farlo, chiamai nel 1982 Giorgio Strehler alla guida del Théâtre de l’Europe di Parigi”.
E poi lei andò al Piccolo di Milano dal 1996 al 1997…
“Sì,ma sono stato un’eccezione, c’era una tale confusione allora che c’era bisogno di qualcuno, come un casco blu dell’Onu, per metter pace: sono stato una prefigurazione per i direttori. È fantastico aver tutte queste persone, non conta che siano italiani o stranieri, purché siano i migliori: a Capodimonte c’è Bellenger, ma a Caserta vediamo un italiano. C’è un grande bisogno di meritocrazia, questo è chiaro”.