Articolo di Alberto Melloni per la Repubblica – commenti 24/11/18
Bisogna essere grati a chi ha generato il pasticciaccio delle catacombe di San Gennaro nel rione Sanità di Napoli.
Il fatto è questo. Fino a 10 anni questo luogo di sepoltura romano era in uno stato di precaria fruibilità: il luogo dove furono portati da Agrippino in poi le spoglie dei vescovi, incluso Gennaro, dove i profughi della furia iconoclasta si erano rifugiati da Bisanzio, era finito nel dimenticatoio e solo negli ultimi due secoli erano fatte alcune fortunate campagne di scavi. Da ultimo quella lanciata dal cardinale Ursi con la Pontificia commissione di archeologia sacra alla fine degli anni ’60: esito ottimo sul piano scientifico, ma incapace di prevenire la dimenticanza e il degrado in un rione chiave della città.
Solo recentemente un parroco, don Antonio Loffredo, e una cooperativa sociale hanno deciso di riqualificare il sito: Fondazione con il Sud, e altri donatori hanno creato una operazione di riscatto: da 5mila visitatori a 150mila in dieci anni, da zero a 50 occupati, da zero a 2 milioni di investimenti di restauro.
Dopo di che il pasticcio: la Pontificia commissione chiede di avere il 50 per cento degli incassi, in nome di un vecchio diritto privo di doveri, di cui invece si sono fatti carico quei giovani e quel rione. Un gesto senza senso: come pizzo è perfino fuori mercato; nella sua pretesa di essere un pizzo estorto a nome del Papa è una insolenza. Che non può che venire da un tipo di ecclesiastico molto particolare: di solito errori come questi li fanno i superficiali, i malvagi e i superficiali e malvagi.
Chi ha deciso di strozzare la sostenibilità delle catacombe appartiene a una di queste categorie: ma ha sottovalutato la reazione. Non penso quella opportunista della politica, ma alle oltre 36 mila persone che hanno sottoscritto in poche ore un appello a papa Francesco che il cardinal Sepe non potrà che recapitare al Pontefice. Alla fine resterà una lezione per tutti.
Il pasticcio delle catacombe insegna molto alla comunità cristiane e ai preti buoni che cercano di immaginare vie di riscatto nei territori strozzati dalla criminalità: queste iniziative non sfidano solo la mentalità delle cosche, ma anche una cultura della prepotenza che non è assente dalla Chiesa. Ma insegna molto all’opinione sulla Chiesa di Francesco. Quando si cerca di capire la natura delle opposizioni che prendono il Papa come bersaglio, si ricorre spesso a generalizzazioni ingannevoli. Non c’è una “curia cattiva” contro un “Papa buono”.
C’è una curia che per le sue dimensioni seleziona sempre meno; e dunque deve promuovere a posti anche di responsabilità figure che appartengono a una delle tre citate categorie. I quali usando di un potere “pontificio” in modo arbitrario e cieco possono produrre disdoro per la Chiesa e mostrarsi addirittura corrivi alle mentalità e ai metodi mafiosi.
Il pasticcio del rione Sanità non è il peggio che possono fare e lo strumento del denaro non è il più micidiale: la delazione, la calunnia, l’inganno, la mistificazione del potente contro l’inerme sono anche peggio. Quando si toccano i quattrini tutto diventa più chiaro. Bisogna dire un grande grazie all’autore del pasticcio. E un grazie più grande ancora ai ragazzi che gestiscono le catacombe e a san Gennaro che ha fatto il suo primo miracolo “social” con quelle 36 mila firme.
Il pasticcio ci dice che la riforma della chiesa di Francesco funziona. Non perché ferma operazioni sgradevoli come questa, ma perché convince migliaia di fedeli che sono insopportabili.